L’indipendenza della Sardegna, la nostra Isola, non può essere un’utopia se si potesse raggiungerla per gradi.
Io, in questo momento, mi limiterei, anzi mi accontenterei, di raggiungere una vera “autonomia”, condotta da uomini che credono nel popolo sardo, nella sua capacità di essere, di riconoscere i valori che la ispirano, capaci di fare un grande sforzo magari rinunciando a qualche posizione di privilegio personale.
Dopo aver letto queste poche considerazioni forse verrò accusato di aver scoperto la formula magica dell’“acqua calda”. Le mie intenzioni, se così vogliamo definirle, hanno solo il desiderio o meglio, l’anelito di raggiungere un obiettivo che, a mio modesto parere potrebbe essere a portata di mano ora come mai prima.
Ritengo di non poter essere smentito quando sostengo che nel Paese vi è una enorme e, forse, insanabile crisi della politica che poi, è crisi dei partiti storici. In Sardegna quella crisi è da anni elevata a potenza difficilmente quantificabile, che sfocia in uno stato di grave confusione.
Quando ci lamentiamo di avere nella nostra regione una legge elettorale che prevede uno sbarramento troppo alto (10%) poco vale, sarebbe meglio poterne fare cosa propria ed utilizzarla a favore e non a svantaggio.
Perchè tanti minuscoli partitini inneggianti all’indipendentismo? E’ una cosa questa che da moltissimi anni tento di dare una spiegazione. Quando ero molto più giovane guardavo con occhio critico l’atteggiamento di Emilio Lussu, Lui, fondatore del Partito Sardo d’Azione passare nelle file del PSI prima e nel Partito Socialista di Unità Proletaria. All’epoca mi sembrava un tradimento a quei principi che avevano ispirato l’Uomo verso quel Partito d’Azione che vedeva la Sardegna, la nostra isola libera dal tallone di una Italia ingrata che mai ha apprezzato i sacrifici del popolo sardo, che mai ha smesso di operare uno sfruttamento infame verso quella gente che, sin dall’inizio dei tempi, ha dato il suo tributo di sangue non solo nelle guerre bensì tutti i giorni attraverso lo sfruttamento del suo territorio con le miniere, con la distruzione dei suoi boschi con l’emigrazione forzata dalla necessità di sopravvivenza tutto per l’ingratitudine dello Stato Italia che collocato il popolo sardo ai suoi margini.
Solo più tardi ho capito che Lussu aveva scelto l’unica via percorribile, tentare di combattere la sua battaglia dall’interno dell’istituzione, aveva capito quanto il sardo fosse individualista, quanto fosse lontano dal voler essere davvero “indipendente”, quanto fosse più dedito alla cultura del suo orticello che cercare di fare quel fronte comune per abbattere quelle barriere che si frapponevano alla nostra vera indipendenza.
Oggi, perchè non approfittare di questa crisi politica? Lo hanno fatto in Catalogna, hanno vinto le elezioni unendosi come partito del popolo catalano. Anche li vi erano le varie fazioni ma poi vi è stato quel sussulto, l’aver capito che uniti si vince. E la nostra vicinissima Corsica? non è stata la stessa cosa? E noi? dieci, undici raggruppamenti che a voce vogliono l’indipendenza e nei fatti non riescono neppure a mettere assieme un programmino, unico, senza inutili fronzoli per poter conquistare almeno una autonomia seria, che pensi al bene della nostra terra, che mandi a casa quell’esercitino di cialtroni che pensa di governare ma che, molto probabilmente, non sa amministrare neppure nello spazio ristretto del suo personale.
Parole dure? Uno sfogo represso per tanti anni. Chiedo scusa a quei pochi che, in perfetta buonafede, conducono delle battaglie quotidiane, esponendosi a critiche pesanti, che lo fanno per tenere ancora viva la speranza di un domani diverso, non migliore ma almeno che possa essere nostro. a Quelli deve andare una parola di gratitudine ed un appello a non smettere di credere che un giorno anche il popolo sardo possa decidere per se stesso il proprio futuro.
Fonte: Giustus’ Blog