Inside Out è il nuovo film della Pixar firmato Pete Docter. È la storia di tre viaggi, il primo in ordine di rappresentazione è la vita di Riley, che si costruisce ricordo dopo ricordo, per azione coordinata delle sue emozioni.
Il secondo viaggio è quello del trasloco della protagonista, evento stressante e prova da superare che porterà l’azione e gli sconvolgimenti nella vicenda. Il terzo è il viaggio-missione-soluzione, è il tema del film, a viaggiare sono le emozioni, Gioia e Tristezza, archiviate e perse per errore, verso una nuova personalità che passerà, come vedremo, inevitabilmente, attraverso tristezza rabbia paure e disgusto.
Il film è ambientato nel cervello di Riley, quartier generale, dove le emozioni gestiscono le reazioni della protagonista grazie ad una tribuna speciale dalla quale hanno visione globale, non solo della protagonista stessa, ma dell’intero contesto ambientale. Non è casuale la posizione dello schermo, portale della mente e metafora degli occhi della protagonista, così come nella realtà il nostro sistema centrale riceve quelle informazioni grazie al nervo ottico. Da qui le emozioni, protagoniste del film, gestiscono i ricordi, li selezionano, si compiacciono dei momenti positivi, di risoluzioni epiche ai momenti di sconforto che sfrecciano davanti agli individui, e arricchiscono la personalità di Riley.
Interessante è l’importanza delle isole della personalità, l’isola della famiglia, dell’onestà, dell’amicizia, dell’hockey e la preziosissima stupidera, che riconducono perfettamente, sia graficamente che concettualmente, all’idea di colonna portante dell’architettura globale della personalità, a tal punto che il loro crollo determina lo sgretolarsi della personalità di Riley, arrivando a non essere se stessa, a non riconoscersi più e a smarrirsi.
Le rappresentazioni animate delle emozioni non sono la novità, come nel caso di Up e di WALL-E, ma di certo è la prima volta che lo sguardo dello spettatore, bambino e adulto, può entrare dentro i protagonisti e affezionarsi alle emozioni stesse. Infatti, tendenzialmente, siamo abituati a farci coinvolgere dai protagonisti dei film per le loro principali caratteristiche polarizzanti, i buoni e i cattivi, belli e brutti, umani e zombie, ma non è consueto conoscerli per il mix di emozioni che loro stessi rappresentano. Questo pone l’osservatore, se pronto a superare lo scheletro iniziale del cartoon, di fronte ad una analisi profonda. Cosa siamo? Quasi spaventosa come domanda, ma inside out non vuole altro che provare a dirci che siamo fatti da ciò che proviamo, passo dopo passo nel corso delle esperienze. Una visione estremamente laica e semplice, che convince anche i bambini. Siamo tutto quello che ci succede, e abbiamo costantemente bisogno di bilanciare la nostra componente emotiva, dando la possibilità anche a quelle che culturalmente vengono descritte come negative, come Tristezza, che invece in questa animazione ci intenerisce a tal punto da renderla indispensabile per il bene di Riley. Il momento più nostalgico è l’abbandono dell’amico immaginario Bing Bong, che è il chiaro esempio di come superare le difficoltà ci renda più maturi a tal punto da dover sacrificare parti preziosissime della nostra infanzia. Per diventare più forti, per superare eventi stressanti e adattarci a nuovi contesti.
Ovviamente se si dovesse cercare un difetto tecnico delle rappresentazioni potremmo dire che maggiore importanza poteva essere data all’impatto degli eventi che non dipendono strettamente da come le nostre emozioni ci fanno percepire, ma al contrario, cosa in noi percepisce e collega lo stato emotivo all’avvenimento.È altrettanto vero che il pubblico di questa animazione necessitava di ampie semplificazioni, sia per l’età che per le tematiche estremamente complesse che vuole provare a portare all’attenzione dello spettatore. Risulta un tentativo ben riuscito, che potrebbe fornire nuove basi molto stimolanti per avvicinare il nuovo pubblico alla complessità del cervello, e a sfatare il mito che le emozioni vengano dal cuore.
Complimenti sei veramente brava