Cucinare. Ma cosa significa in fondo cucinare?
Benvenuti sulla rubrica “Ne conquista più la Gola della Spada”.
Oggi faremo un piccolo viaggio nel mezzo di uno dei termini più diffusi: Cucinare.
Cucinare: sul vocabolario troverete: preparare e cuocere le vivande, dal latino tardo cocinare, subentrato alla forma classica coquinare, derivato da coquere ovvero cuocere. Ma la verità è che la parola cucinare racchiude ben di più, fin da quando i primi uomini hanno scoperto che l’atto del mangiare, da mero mezzo di sopravvivenza, poteva anche divenire un piacere, nulla ha più fermato la creatività e fantasia del rendere il nutrirsi un vero godimento di ogni senso.
Cucinare poi è assolutamente un verbo cardine della nostra cultura, una delle molteplici forme d’arte che rende l’Italia un luogo davvero speciale e unico al mondo, ma che, nella sua quotidianità, manchiamo spesso di osservare con la dovuta attenzione.
In effetti, a molti sfugge che proprio la consuetudine irrinunciabile e quotidiana del cucinare, per sé e per gli altri, è uno dei caratteri più appariscenti, insopprimibili e radicati della cultura italiana.
Cucinare è in fondo trasformare: prendere cioè le materie prime, che spesso non sono nemmeno così immediatamente commestibili, gustose o salutari da mangiare, e mutarle in una preparazione che le trasformi in vivande, letteralmente: ciò che serve alla vita! Come indica chiaramente l’etimo di questo vocabolo, ovviamente il processo principe di questa trasformazione è la cottura.
Naturalmente nei secoli quelle che erano le necessità storiche del cucinare si sono evolute e modificate più volte, rendendo infine un vezzo, un hobby o una moda anche estetica ciò che è stato per lungo tempo un bisogno primario.
Ma l’aver saputo trasformare una necessità biologica in una così importante e mirabile attività culturale ed estetica è una conquista formidabile.
Ecco perché si dovrebbe rifuggere il più possibile dai cibi pronti, precotti, veloci e spesso poco salubri e dedicare invece quando possibile parte del proprio tempo all’atto del cucinare, che definisce in fondo un tempo della giornata dedicato alla cura di sé e di chi mangerà con noi.
Avete poi mai pensato quanto sia in realtà sensuale la cucina?
Quanto siano simili in fondo il cibo e l’amore?
Gola e Lussuria sono da sempre molto legati: entrambi sono definiti “peccati della carne”, e la parola “carnalità” deriva dal latino dell’Ecclesiaste carnalitas, che significa sì “concupiscenza”, ma deriva comunque da “caro carnis”, cioè carne, componente fondamentale sia del corpo umano che dei cibi, e proprio per questo proibita ai cristiani nei giorni di penitenza in cui si deve mangiare di magro. E anche “astinenza” si utilizza allo stesso modo nel doppio senso, sia sessuale che nutritivo.
Basta anche riflettere sull’uso dei molti termini comuni a gola e lussuria: come “fame”, aver fame di qualcuno è altrettanto forte e irrefrenabile come averla di qualcosa.
E che dire dei tanti verbi comunemente usati riferendosi al cibo come: succhiare, leccare, mordere, inghiottire, lambire, suggere, e ovviamente lo stesso mangiare, tutte parole “voraci”; da vorax voracis, a sua volta derivato da vorare, “divorare”. “Voraci” come la passione e tutte parole che hanno altrettanti intensi significati nel piacere.
Quindi cucinate, create, assaggiate, perché la cucina è come una tela, gli ingredienti sono i colori, l’estro, la passione e la fantasia sono i pennelli; cucinare è arte e, come la miglior musica e pittura, bastano pochi ingredienti, poche note, pochi colori e si può creare e assaporare l’infinito.
Vi aspetto al prossimo appuntamento con la rubrica
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