Tutto quello che c’è da sapere sulle coppie di fatto,
sul piano civilistico e penalistico
L’articolo 29 della Costituzione definisce la famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio. Viene in tal modo sancito il carattere prevalente dell’istituzione matrimoniale come unica modalità attraverso la quale l’unione tra due persone è in grado di produrre effetti giuridici personali e/o patrimoniali.
Restano in tal modo escluse tutte le situazioni in cui la convivenza di una coppia non sfoci nel vincolo coniugale. Questo sia nel caso di partners eterosessuali che omosessuali.
Conseguentemente, la tutela giuridica riconosciuta dal codice civile, e da altre specifiche leggi, al rapporto matrimoniale sembrerebbe non potersi applicare ai casi di convivenza di fatto.
Tuttavia, tale situazione normativa non può lasciare priva di diritti una condizione sempre più frequente che si può indubbiamente configurare come scelta di vita personale ed insindacabile.
L’evoluzione del contesto sociale contemporaneo, infatti, ha visto un crescente aumento delle convivenze che danno vita, nel nostro sistema giuridico, alla cosiddetta “coppie di fatto” e “famiglia di fatto” o “convivenza more uxorio”, talvolta caratterizzata anche dalla presenza di figli nati dall’unione della coppia.
Dunque, vengono meno le abituali previsioni di legge in ambito matrimoniale (articoli 143 e seguenti del codice civile), che regolano sia i rapporti patrimoniali che personali dei coniugi.
Tuttavia, non bisogna pensare che nella famiglia di fatto, ovvero all’interno di un regime di convivenza more uxorio, non sia comunque possibile ricorrere a particolari mezzi giuridici alternativi volti a garantire tutela sia dal punto di vista delle relazioni economiche intercorrenti tra i conviventi che riguardo ai loro diritti di natura personale!
Infatti, in questi casi, sussiste quella particolare condizione definita “affectio maritalis”, ovvero l’esistenza di un forte vincolo affettivo che si rinnova ogni giorno nella consapevole volontà di condividere la propria esistenza con l’altra persona, a prescindere dalla validazione giuridica derivante dal matrimonio.
Gli elementi che caratterizzano la famiglia di fatto sono pertanto: l’assenza del legame giuridico scaturente dal matrimonio, una comunione materiale e morale di vita, un rapporto stabile e duraturo fra le parti.
Attesa la rilevanza sociale e culturale della convivenza more uxorio, occorre a questo punto individuare le singole ipotesi ed i differenti istituti a cui le coppie de facto possono ricorrere per tutelarsi reciprocamente, sia in costanza del rapporto che in caso di eventuali separazioni come in caso di decessi.
Occorre premettere che, dal punto di vista personale, non sorgono gli stessi diritti sussistenti fra i coniugi, quali, ad esempio, i reciproci obblighi di fedeltà e l’assistenza materiale e morale.
Tuttavia, qualora uno dei partners cagioni delle lesioni all’altro, provocando danni non solo economici ma anche morali o esistenziali è possibile chiedere il risarcimento, previa prova concreta del danno (articoli 2043 e 2059 del codice civile).
In caso di malattia con ricovero ospedaliero, non spetta al partner alcun accesso alla cartella clinica del convivente.
Più complessa la regolamentazione delle questioni patrimoniali, (in quanto non è applicabile né il regime della comunione né della separazione dei beni) e delle questioni che emergono in caso di separazione della coppia o di morte di uno dei conviventi.
In relazione agli acquisti effettuati col proprio patrimonio personale, l’altro partner non può vantare alcun diritto, mentre, per ogni acquisto condiviso, la proprietà del bene sarà pari alla metà in capo ad ognuno secondo le regole generali in materia contrattuale.
In caso di cessazione della convivenza per volontà di uno solo o di entrambi i conviventi, nessuna responsabilità in ordine alle cause della rottura può riconoscersi in capo ai partners dal momento che è mancato fin dall’inizio un impegno giuridicamente valido circa la continuità del rapporto.
Pertanto, ad esempio, la casa in cui la coppia ha vissuto spetta al legittimo proprietario.
Per ovviare a simili conseguenze, si può preventivamente decidere di rendere comproprietario il convivente, o, in alternativa, attribuirgli un diritto reale di godimento sull’immobile (usufrutto o abitazione).
In tali casi, il conferimento effettuato a favore dell’altro convivente viene ritenuto atto spontaneo e gratuito.
Tale atto di conferimento viene qualificato dalla giurisprudenza di legittimità come obbligazione naturale (art. 2034 del codice civile), ovvero adempimento derivante da un dovere morale e sociale – (favorire il proprio partner) – e di conseguenza non restituibile.
Qualora ci siano figli minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente, la giurisprudenza ha precisato che la casa familiare possa essere assegnata al genitore affidatario.
Infatti, l’interesse dei figli è stato ritenuto prioritario.
Al convivente non comproprietario né titolare di diritto reale sull’immobile spetta, invece, l’azione di spoglio che può essere esercitata qualora venga, violentemente o clandestinamente, estromesso dalla casa del compagno adibita ad abitazione familiare.
Ciò, sia nel caso in cui l’unità abitativa sia del partner, sia nell’ipotesi di contratto di locazione intestato al convivente.
Invece, non sorge l’obbligo di versamento dell’assegno di mantenimento in capo all’ex convivente.
La giurisprudenza ha deliberato come non sia possibile ottenere gli alimenti di cui all’art. 433 c.c. in quanto tale disciplina è volta alla tutela del rapporto di parentela che, come sopra riferito, non sorge nell’ipotesi della famiglia de facto.
Un caso specifico di equiparazione tra la disciplina matrimoniale e la convivenza more uxorio sussiste però nel caso di coppie con figli.
A seguito delle modifiche apportate al codice civile dalla legge n. 219 dell’anno 2012, sono stati cancellati dal codice civile tutti i riferimenti sia ai figli “naturali”, ovvero nati fuori dal matrimonio, che a quelli “legittimi”, ovvero nati in costanza di matrimonio.
Infatti, a tutti i figli viene, ormai, riconosciuto lo stesso stato giuridico (art. 315 c.c.) in quanto la tutela dei minori è un principio fondamentale del nostro ordinamento.
Pertanto, l’eventuale separazione dei conviventi non può pregiudicare in alcun modo gli obblighi sussistenti in capo ad entrambi i genitori in relazione ai figli nati dall’unione precedente.
Di conseguenza, l’esercizio della potestà genitoriale sarà congiunto, con affido condiviso, ed il convivente non affidatario avrà l’obbligo di contribuire al mantenimento e all’educazione della prole.
Ci sono anche delle situazioni in cui rileva la durata del rapporto di fatto.
Ad esempio, viene riconosciuto il diritto all’assegno vitalizio per le vittime del terrorismo ex D.P.R. 510/1999 (sono necessari minimo tre anni di convivenza) e la facoltà al subentro nell’acquisto dell’immobile assegnato dall’istituto autonomo case popolari per rinuncia dell’assegnatario (sono necessari minimo cinque anni di convivenza).
La cessazione del rapporto di fatto può configurarsi anche in caso di morte di uno dei due partners. In tale ipotesi, al superstite non spetta automaticamente alcuna partecipazione all’eredità, come accade al coniuge.
L’unico modo per garantire che parte dell’asse ereditario venga devoluto al proprio convivente è quello di fare un testamento riservandogli la quota disponibile nei limiti previsti dal codice civile e, in ogni caso, stabilita senza ledere la quota spettante, ex lege, agli eredi legittimi.
E’ possibile ottenere lo stesso risultato anche ricorrendo a particolari istituti del diritto civile come il contratto di donazione o l’istituzione di un trust mediante i quali donare una certa somma o garantirne l’utilizzo al partner (quale beneficiario del trust) per evitare che si ritrovi, magari in tarda età, sprovvisto dei mezzi necessari alla propria sussistenza.
Un nuovo strumento che dall’anno 2013 è stato messo a disposizione delle coppie di fatto è il patto di convivenza.
Questo atto è un vero e proprio contratto fra i partners volto a regolare solo gli aspetti patrimoniali (e non quelli personali) della loro convivenza che gli stessi hanno, volontariamente, deciso di sottoscrivere ed accettare.
Dal contratto stipulato sorgono obblighi giuridici vincolanti per i conviventi i quali dovranno tenere fede a tali obblighi assunti anche nel caso di interruzione della prosecuzione del rapporto personale, potendo, in caso di inadempimento da parte di uno dei partner, anche rivolgersi ad un Giudice.
In tale modo i conviventi possono conferire massimo spessore giuridico alla loro relazione decidendo, sotto il profilo strettamente patrimoniale, le attribuzioni da farsi reciprocamente, il modo in cui ripartire le spese, scegliere a chi destinare gli acquisti, regolamentare le questioni sulla casa adibita a residenza familiare nonché gli oneri economici da soddisfare in caso di separazione. Restano escluse dal contratto di convivenza le questioni successorie, che però, come riferito in precedenza, possono regolarsi mediante testamento o trust.
Il patto di convivenza può essere sottoscritto sia dalle parti, (di mutuo accordo), che con l’ausilio di un avvocato.
Inoltre, è possibile ricorrere anche alla stipula presso un notaio (mediante scrittura privata autenticata o per atto pubblico).
Naturalmente all’interno di una convivenza more uxorio possono verificarsi situazioni che abbiano un rilievo non solo civile, ma anche penale.
In tali ipotesi, dato che i conviventi non sono sposati, si tratta di capire in concreto quali reati possano essere commessi a danno del partner durante l’esistenza della famiglia di fatto.
Sotto questo profilo, è possibile analizzare i casi che la giurisprudenza italiana ha considerato per tracciare un quadro dei delitti che possono essere imputati ai conviventi.
Anzitutto, per quanto riguarda i delitti contro l’assistenza familiare, è configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia previsto dall’art. 572 del codice penale.
La definizione di famiglia, in questo caso, viene intesa in senso ampio includendo anche quella di fatto.
Pertanto il convivente violento nei confronti della/del partner o dei figli nati dalla coppia risponderà del reato anche se manca il vincolo del matrimonio.
Altro reato di cui si può essere chiamati a rispondere è quello di violenza sessuale a danno del convivente ex art. 609 bis del codice penale.
La Corte di Cassazione ha recentemente dichiarato al riguardo che anche in caso di convivenza more uxorio il successivo diniego del consenso al rapporto sessuale implica una prosecuzione forzata del rapporto stesso e come tale integrante lo stupro.
Si può essere ritenuti responsabili anche del delitto di abbandono di persona minore o incapace (art. 591 codice .penale), qualora si lasci il convivente in condizione di non poter badare a se stesso.
Una ipotesi particolare riguarda la non punibilità del delitto di furto in capo al convivente.
Secondo l’art. 649 del codice penale, infatti, non sono punibili determinati reati (fra cui il furto, la truffa, l’appropriazione indebita) se commessi a danno di alcuni soggetti, fra i quali è compreso anche il coniuge non legalmente separato.
La giurisprudenza della Cassazione ha chiarito che sussiste una equiparazione fra coppia sposata e coppia more uxorio.
Per cui il convivente non sarà considerato responsabile del furto o del danneggiamento commesso ai danni di beni di proprietà del partner, essendo estensibile anche a questi casi l’articolo 649 c.p.
La non punibilità vale solo in caso di convivenza in corso posto che la cessazione della convivenza comporta che il reato diventi punibile a seguito di presentazione di denucia-querela da parte del membro della coppia che ha subìto il furto.
La stessa norma però non è applicabile, secondo la giurisprudenza, ai casi di ricettazione, delitto per il quale dunque si può essere imputati.