Uno tzunami di 60 milioni di metri cubi di detriti, pari al contenuto di 25mila piscine olimpioniche , si è abbattuto sul Brasile devastando profondamente l’ambiente e la popolazione.
La rottura degli argini di due dighe piene di liquidi di scarto industriale altamente tossici ha fatto sì che si riversassero nel Rio Doce – a Nord Est del Brasile – 60 milioni di metri cubi di sostanze inquinanti che ora si muovono inesorabilmente verso l’Oceano Atlantico.
È il disastro ambientale più grande nella storia del paese sudamericano. Due settimane fa la marea marrone ha rotto gli argini – alcuni dicono a causa della fragilità delle barriere di protezione – e adesso si teme che altre due dighe possano rompersi a Mariana, nello Stato di Minas Gerais.
Il fango contaminato da arsenico, piombo, cromo ed altri metalli pesanti ha già invaso oltre settanta chilometri di coste ad Espirito Santo, – il paradiso dei surfisti – nonchè la città di Mariana. Foreste, aree protette, campi agricoli, case, habitat sensibili; tutto è stato ricoperto dal fango tossico.
La responsabile di questo immane disastro è la ditta Samarco Mineracao Sa, controllata dalla anglo-australiana Bhp Billiton e dalla brasiliana Vale, entrambi colossi delle miniere.
Voci di corridoio sembrerebbero suggerire che la causa del cedimento fosse dovuta ai recenti lavori di ampliamento del canale. Al momento del crollo pare che alcuni operai fossero all’opera per allargare la diga così da poter trasportare più materiale tossico – scarti provenienti non solo dalle miniere circostanti ma anche da quelle più distanti – in vista del continuo aumento della produzione.
La zona del Rio Doce è la più ricca di minerali del Brasile, produce infatti più del 10% del ferro del Paese ed è proprio questa la ragione per cui appare oggi come una enorme pattumiera a cielo aperto, anziché come la ricca e florida foresta amazzonica d’un tempo.
La Samarco ha ammesso che la cittadina brasiliana era già stata colpita dal cedimento di due barriere per il contenimento dei residui di una miniera di ferro.
Ad oggi il bilancio è di 11 morti, 15 dispersi, 600 sfollati, 250.000 persone senza acqua potabile. La Samarco è stata obbligata a pagare 250 milioni di dollari al governo brasiliano, ma le stime per la pulizia riportano un danno di 27 miliardi di dollari. Senza calcolare tutte le conseguenze collaterali che riguarderanno l’oceano: già la biodiversità del fiume è andata completamente distrutta e diverse specie – incluse alcune indigene – sono da considerarsi estinta. La preoccupazione è rivolta all’impatto che il disastro avrà sull’ecosistema dell’Atlantico.
In un’intervista alla BBC, Andres Ruchi, direttore della scuola di Biologia Marina di Santa Cruz nello stato di Espirito Santo, ha affermato che “Il flusso di nutrienti all’interno dell’intera catena alimentare sarà compromesso per un minimo di 100 anni su almeno un terzo della regione sud-orientale brasiliana”.
«È inaccettabile che informazioni sui rischi tossici della catastrofe siano stati divulgati solo dopo tre settimane», hanno scritto in una nota gli specialisti John Knox e Baskut Tuncak, che hanno puntato il dito in particolare contro la brasiliana Vale e l’anglo-australiana Bhp, i due colossi della minerazione proprietari della Samarco.
Scienziati e ambientalisti temono che se venti e correnti spingeranno l’onda tossica verso nord, l’Abrolhos Marine National Park sarà fortemente a rischio. Il parco racchiude un arcipelago di isole e barriere coralline dove sono ospitate specie marine protette, come tartarughe, delfini e balene.
Ancor più grave appare l’approvazione – proprio il 25 novembre a due settimane dal disastro – della concessione di “licenze ambientali per le grandi infrastrutture” che minaccia l’ambiente per favorire lo sviluppo economico a qualsiasi costo.
La presidente della Repubblica, Dilma Rousseff, ha nel frattempo annunciato l’avvio di un piano di recupero a lungo termine del Rio Doce.